mercoledì 12 ottobre 2011

Rap Raft 'n Rock parte 1

Alla fine della giornata ho capito perchè in fase di prenotazione ci hanno chiesto il numero della carta di credito. Avevamo letto bene o male di cosa si trattasse sul dettagliato depliant, e ci avevano anche confermato che si trattava di uno dei migliori giri organizzatti nelle grotte del ridente Waitomo.
Avevamo letto, ma come spesso accade, fino all'ultimo non ci eravamo resi conto di ciò a cui andavamo incontro. Prenotiamo per il giorno successivo, alle tre di pomeriggio. 
L'indomani, dopo un salubre pasto a base di pollo fritto e patatine, ci incamminiamo verso l'indirizzo segnato sul volantino. Lungo la strada un gentile manichino in muta e caschetto ci indica la stradina polverosa. Entriamo, segnamo nome, email, peso corporeo e dichiariamo di non avere diabete, malattie cardiache, epilessia ed altre sfighe che ci condurrebbero verso morte sicura. Saliamo incespicando a bordo di uno sgangherato pulmino (v.post "Le strade neozelandesi") insieme ad altri quattro americani sciagurati -che scopriremo successivamente essere una famiglia- e  via, sobbalzando su per strade mano a mano sempre più indegne di essere chiamate tali. Arrivati al campo base "saltiamo" giù dal mezzo. Per campo base si intendono due container e una labirintica baracca fornita di tre docce in lamierino, un cesso da incubo e due spogliatoi. Il tutto squisitamente kiwi.
 Simon, la nostra guida, dopo le presentazioni di rito, ci consegna i due pezzi della muta, il caschetto, ci invita a scegliere un opportuno paio di scarponi dalla rastrelliera e ci intima di non orinare nell'equipaggiamento. Vi risparmio il successivo, pietoso spettacolo dell vestizione. Stretto nell'abito come la Marini dei bei tempi andati, indosso l'imbragatura. Il semplice movimento di tirare una cinghia in corrispondenza dell'anca sinistra mi provoca un crampo e una frustata di dolore.
Cominciamo bene. 
Tutti nuovamente sul pulmino e via.
 Scendiamo e dopo poche centinaia di metri, impacchettati nella muta come salami sottovuoto, arriviamo a una staccionata alla quale sono attaccate alcune corde che utilizziamo per un rapido corso di sopravvivenza alla discesa in corda doppia. Sembra facile, ce la possiamo fare. Trotterelliamo ignari di ciò a cui stiamo andando incontro e raggiungiamo l'imboccatura della grotta. Un enorme crepaccio buio, umido e con un fiume torbido e impetuoso sul fondo si mostra di fronte ai nostri piedi. Sta scherzando, penso subito. Vorrei scappare ma la muta e le persone dietro di me me lo impediscono. Maledetta curiosità che mi ha fatto andar per primo. Lego l'imbracatura alla corda come appena imparato, mi attacca alla corda di sicurezza e...
E mo'? Guardo giù e mi terrorizzo pensando di dovermi buttare. E mo'? Siediti, dice semplicemente Simon. Lo guardo come se mi avesse detto di ingoiare un cactus e, malgrado tutto, lo faccio. Ecco. Sono sospeso. E mo'? Sotto di me 27 metri di incertezza. Dai, dopotutto si può fare.

2 commenti:

Sonia ha detto...

wow, che esperienza.
attendo con ansia la seconda parte... non puoi lasciarmi così in tremenda suspance.
Sonia

Sonia R ha detto...

Questo viaggio si sta facendo sempre più avventuroso!! dopo niente vi farà più paura!
Ciao